INSEGNARE A COMUNICARE NELL'AUTISMO

INSEGNARE A COMUNICARE NELL’AUTISMO
Incontro di formazione della Prof.ssa Enza Crivelli alla Casa del Sole

di Valentina Pernigotti Educatrice

Lo scorso anno scolastico, presso la Casa del Sole, in via telematica, si è tenuto il corso di formazione “Insegnare a comunicare nell’autismo” tenuto dalla prof.ssa Enza Crivelli. Il corso è stato articolato in 4 incontri di 7 ore ciascuno.
Nella Carta dei diritti della comunicazione si legge: “Ogni persona, indipendentemente dal grado di disabilità, ha il diritto fondamentale di influenzare, mediante la comunicazione, le condizioni della sua vita.”
Questo significa che tutti devono avere la possibilità di chiedere, di esprimere, di fare delle scelte, di poter chiedere aiuto. A partire da questo presupposto, dobbiamo aspirare sempre di più a dare a tutti la possibilità di poter comunicare, mettendoli nelle condizioni di poter comprendere nel miglior modo possibile, nella loro lingua.


Da qui, la professoressa Crivelli ha voluto approfondire diversi temi.
La prima parte del corso era incentrata sugli aspetti comunicativi: la comunicazione con i bambini dello spettro autistico, infatti, è un’area di estrema fragilità. In questi casi, i bambini non imparano a comunicare spontaneamente, non apprendono con metodologie “standard” e proprio per questo possiamo dire che lavorare con persone che apprendono in modo diverso significa scardinare le abituali strategie di insegnamento.


Allora viene spontaneo porsi almeno due domande: che cosa possono imparare questi bambini? E, soprattutto, come possono farlo?
Ecco che subito entra in campo la responsabilità dei professionisti: scoprire cosa piace e cosa non piace al bambino, che cosa vuole e che cosa non vuole e scoprire in che modo impara e comprende. Infatti, è fondamentale conoscere lo stile di apprendimento del bambino così che il professionista possa adeguare il proprio modo di insegnare, al modo di apprendere del bambino. Questa è la chiave: scoprire le potenzialità che si nascondono dietro le apparenze dei comportamenti e degli handicap percepiti e trovare un mezzo per raggiungerle. Tutti i comportamenti disfunzionali che, generalmente, vengono messi in atto da bambini autistici, sono veri e propri atti comunicativi.
In aggiunta a tutto ciò, è necessario tenere a mente una cosa che spesso dimentichiamo perché siamo abituati a parlare, spiegare, dire: esiste un elevato numero di persone che comprendono meglio quello che vedono, rispetto a quello che sentono. Questo è anche il caso delle persone autistiche; Temple Grandin (una delle più famose autrici con diagnosi di disturbo dello spettro) racconta come funziona la mente delle persone con autismo scrivendo “quando qualcuno mi parla, io traduco immediatamente le sue parole in immagini”. Potremmo dire, allora, che si parlano due lingue differenti, una composta da parole ed una composta da immagini.


Per questo motivo è opportuno fare una distinzione: insegnare a comunicare non significa insegnare a parlare. Nel caso di persone con disturbo dello spettro autistico, infatti, è necessario insegnare a comunicare nella “lingua” che comprendono: non attraverso le parole, ma attraverso una comunicazione supportata visivamente. È necessario quindi ricorrere all’utilizzo di ausili visivi, ovvero tutti quegli strumenti che sono in grado di ampliare il processo comunicativo basandosi sulle capacità della persona di acquisire l’informazione attraverso la vista.
A questo punto, è chiaro che i destinatari di una comunicazione mediata visivamente non sono solo persone con diagnosi di disturbo dello spettro autistico non verbali, ma sono tutte quelle persone che hanno difficoltà a comunicare tramite la parola verbale (ad esempio chi riceve diagnosi di afasia, disturbo del comportamento, disturbo pervasivo dello sviluppo, disabilità intellettiva, e molti altri).

 

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